Non vado in vacanza

Non vado in vacanza. O meglio, ho deciso di non andarci più.
Mi pare che il concetto stesso di “vacanza" rifletta la distorsione spirituale di quest’epoca.

“Vacanza" significa assenza, ma da da cosa?

È implicito che si tratti di un allontanamento dal lavoro quotidiano. Eppure, questo termine sembra suggerire un’assenza da se stessi.
Il riposo periodico, necessario al corpo e alla mente, diventa - tramite l’uso di questo termine - un assentarsi da sé. Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti.
Se non lavoriamo, siamo gusci vuoti, non siamo vivi, così sancisce addirittura la nostra costituzione.
E in un’epoca in cui il lavoro alienante alla catena di montaggio ha già svuotato l’uomo della sua anima, sembra quasi una condanna, non è vero?
Eppure un risveglio lento ma inesorabile, che riguarda la consapevolezza dell’uso del proprio tempo libero si fa largo tra le persone.
Un tempo andare in vacanza significava spaparanzarsi su una spiaggia, respirare aria buona e incamerare sole; oggi invece sempre più persone partono per raggiungere luoghi lontani.
Un numero sempre maggiore di persone si carica delle fatiche che richiedono gli spostamenti a lungo raggio, in aereo e con ogni mezzo possibile, per affrontare vacanze “on the road”, impegnative fisicamente e mentalmente. Spesso si torna più stanchi che alla partenza, ma soddisfatti, perché si è visto altro e si è fatto altro rispetto a ciò che succede nel quotidiano.

in viaggio

Molti viaggiano per stordirsi, per riempire un vuoto

Vedere tante “cose”, paesaggi, posti, gente, è un po’ un atto di conquista, anche se solo attraverso gli occhi. È un po’ fuggire dalla quotidianità.
È in ogni caso una prima fase di incontro con l’altro da sé. È già non più fuggire da se stessi, bensì cercare di comprendere ciò che non sappiamo di noi stessi. Perché il viaggio significa pur sempre andare alla scoperta di se stessi, della propria anima.

Alcuni luoghi ci ricaricano di energia, più di altri

Machu Picchu

Machu Picchu

Lo possiamo percepire anche se non abbiamo sviluppato sensibilità particolari. In modo confuso, oscuro e grossolano, la spinta al viaggio è il riflesso di un antico bisogno spirituale: ripercorrere le invisibili vie dell’energia, del potere spirituale. Quelle che Chatwin descrive bene nelle Vie dei Canti.
I popoli antichi percorrevano (alcuni lo fanno ancora adesso) annualmente o periodicamente pellegrinaggi che rinsaldavano l’alleanza con la Madre Terra e con gli spiriti dei luoghi ancestrali. Questi pellegrinaggi assicuravano abbondanza, salute fisica e spirituale alla popolazione. Gli aborigeni australiani li percorrono tuttora, e così gli Huichol in Messico.
In occidente si sta riprendendo questa antica usanza con il Cammino di Compostela o la Via Franchigena. E anche se molti affrontano queste esperienze considerandole semplici trekking, oppure una sfida personale per superare i propri limiti, sottilmente esse riportano a un contatto intimo con la Terra, intimo perché percorsa a piedi. Ho sempre pensato che i piedi siano - oltre che “radici”, come ci dicono le discipline orientali - antenne al contrario, che ci mettono in contatto con le forze ctonie. Persino il turista più distratto riesce a trattenere qualcosa nella sua anima della bellezza e della potenza dei luoghi di energia alta, anche se ci arriva in autobus.
Le vacanze itineranti alla scoperta di questi luoghi potrebbero essere un ritorno al “pellegrinaggio”, inteso come viaggio spirituale. Un escamotage delle nostre coscienze per tornare a una relazione autentica e profonda con lo spirito di questo pianeta.

E alcuni viaggi più di altri ci conducono su queste antiche strade

Le Ande viste dal treno verso Machu Picchu

Uno di questi è il viaggio proposto da Luigi Jannarone in Perù, "Corazon de Puma” (Cuore di Puma), che ho scelto l’estate scorsa seguendo un desiderio antico di connessione con le Ande.
Il Perù, secondo gli Inca, era percorso da un reticolo energetico che si dipanava dalla capitale dell’impero Inca, Cuzco, e in particolare dal tempio del Sole, il Coricancha. Da lì, a raggiera, si irradiavano invisibili linee energetiche che percorrevano l’enorme territorio dell’impero.
Con Luigi e Ninoska Carbajal, la nostra guida peruviana, abbiamo seguito alcune di queste linee e meditato, fatto offerte, incontrato vari sciamani peruviani che ci hanno guidato in cerimonie commoventi e piene di ispirazione. Io e gli altri compagni di viaggio ne siamo usciti trasformati, o perlomeno toccati profondamente.
Nei prossimi articoli vi racconterò le tappe di questo viaggio, i cui effetti ancora riverberano dentro di me.

urubamba, machu picchu

Luigi Jannarone e la curandera Martina Mamani nella valle dell'Urubamba

I commenti sono chiusi